DAL “DIRITTO ALLA SALUTE” AL “DOVERE ALLA SALUTE”

Il coronavirus segna un passaggio di epoca. O meglio, evidenzia alcune trasformazioni già in corso da tempo. Una di queste trasformazioni è lo spostamento dall’idea di “diritto alla salute” a quella di “dovere alla salute”.
Il diritto alla salute non c’è sempre stato: è stato oggetto di battaglie importanti, in Italia con l’impegno della sinistra e dei comunisti in primo luogo. Nel suo ultimo libro, Storia della salute. Da privilegio a diritto (2011), Giovanni Berlinguer ricordava come in occidente la salute sia passata dall’essere privilegio di pochi a diritto di tutti, grazie a lunghe lotte sociali. Oggi quel diritto è molto più esteso che in passato, ma privatizzazioni e tagli alla sanità lo hanno rimesso in discussione. Viceversa, si sta affermando da tempo una sorta di “dovere alla salute”: una presunta “vita sana” viene imposta tramite uso di farmaci, prescrizione di stili di vita, riattualizzazione del tabù della morte e della malattia.
Con l’emergenza covid-19 si assiste a un passaggio di fase accelerato. Una volta si era disposti a morire per non perdere la libertà, oggi si è disposti a perdere molte libertà per la paura di morire (o semplicemente di ammalarsi). La lunga sospensione di molti diritti collettivi e individuali, a causa del lockdown, è ancora in corso e le “profezie” di scienziati e politici preannunciano nuove restrizioni dopo l’estate.

Xi Jinping

Chi dissente è complottista

Se la salute diventa un dovere, in suo nome si può rinunciare ai legami sociali, ai diritti politici, alla democrazia. In regime di “dovere alla salute” diventano indiscutibili tutte le risposte ufficiali al virus e tutta la sua rappresentazione “scientista” (evitando di considerare che dalla comunità scientifica sono venute indicazioni totalmente contraddittorie, da un mese all’altro): chiunque sollevi dubbi è inserito nella categoria del “complottismo”. Un altro regalo del coronavirus: mettere all’indice qualsiasi critica di ciò che accade e della narrazione dominante. In un precedente articolo abbiamo riflettuto sul fatto che la narrazione sul virus e le scelte di risposta sono state indicate ed egemonizzate dalla Cina, alla quale tutti i paesi, tramite OMS, si sono accodati (dal lockdown come soluzione, al forte allarmismo terrorizzante fino all’uso indiscriminato delle mascherine). Ma forse è meglio non farsi domande, altrimenti si è “complottisti” e non si è lucidi quanto chi ormai prende per buona qualsiasi cosa abbia l’imprimatur della Scienza.

Disobbedienza civile

Se la salute diventa un dovere, allora chi non esegue gli ordini è considerato un pericolo sociale. E oggi, dopo mesi di terrore sanitario, si manifestano inevitabilmente comportamenti ribelli, in alcuni casi certamente insensati e pericolosi, ma tutti indistintamente stigmatizzati dai tutori del “dovere alla salute”. Questi comportamenti ribelli riguardano, in Italia, due roccaforti del “dovere alla salute”, le mascherine con il relativo “distanziamento sociale” e l’app Immuni. Migliaia di persone, anche tra quelle che in precedenza avevano subito passivamente il lockdown, rifiutano di eseguire gli ordini: una forma spontaneistica di disobbedienza civile.

Gli allegri cittadini dell’app Immuni

L’app Immuni

La stragrande maggioranza degli italiani è additata al pari di untori perché non ha scaricato l’app. Nemmeno sulla validità e l’efficacacia di un’app pare ormai possibile discutere o ragionare. Se le “autorità” scientifico-politiche (dato che pare inevitabile, nel mondo del dovere alla salute, che siano oligarchie di scienziati a dettare le scelte della politica) decidono che è vitale inserire in ogni telefonino un tracciamento, questo è pregiudizialmente giusto e utile. Inutile ricordare qual è il ruolo dell’app Immuni: segnalare esclusivamente se sei stato vicino a un infetto (se aveva a sua volta l’app). A quel punto viene sollecitata l’ipocondria di chi possiede l’app e che può decidere se mettersi in autoquarantena soltanto perché si è trovato vicino a un infetto, oppure può commettere l’errore di avvisare la ASL e allora rischia di essere messo in quarantena forzata. L’app Immuni è un esempio eclatante di quanto sia illusoria la fede nelle nuove tecnologie come soluzione a tutti i problemi.

Giuseppe Conte con mascherina e bandierina

La mascherina

Nei mesi del lockdown abbiamo assistito alla teorizzazione del “distanziamento sociale” che ha portato alla follia della caccia poliziesca a chi faceva jogging o prendeva il sole in spiagge deserte o a multare pesantemente persone che non mettevano in pericolo nessuno, il tutto nell’indifferenza generale se non nel consenso di massa. Il simbolo del dovere alla salute è diventato la mascherina, in certe zone diventata obbligatoria anche all’aperto, un espediente perfetto per spersonalizzare e terrorizzare, più che per difendere realmente da un virus (gli stessi enti governativi come il CDC americano affermano chiaramente che va indossata solo da chi è infetto per proteggere gli altri, nel caso si sia a distanza ravvicinata con altre persone per diverso tempo, mentre in periodi precedenti al covid-19 altri enti sanitari sconsigliavano addirittura l’uso indiscriminato delle mascherine perché induce una falsa sicurezza). Perché si dovrebbe credere oggi agli stessi scienziati che ieri dichiaravano inutili le mascherine? L’ultima dichiarazione che fanno è sempre quella giusta, in attesa della prossima? Però l’isterismo di massa sull’uso delle mascherine serve molto a colpevolizzare: se il virus si diffonde è colpa dei nostri comportamenti e non di altri cento fattori, anche di natura economica e sociale.

Forze dell’ordine e lockdown

I talebani del “dovere alla salute”

Il “dovere alla salute”, come tutti i doveri, deve essere imposto. Uno dei requisiti per questa imposizione, nella fase attuale, è liquidare ogni possibile dubbio sulla gestione dell’emergenza covid, sulle misure anti-covid e sullo scenario dominante. Per imporre questo dovere sono entrati in campo i talebani del “dovere alla salute”, da tempo attivi nei mass media e oggi capaci di moltiplicare il proprio credo invadendo i social media di minacce e accuse ai riottosi.
Il “dovere alla salute” prevede che popolazioni e cittadini si affidino ciecamente a un potere che si autodefinisce “neutrale”, al di sopra delle parti, quello dei medici e degli scienziati cui la politica delega le decisioni. Non ci sono più differenti scuole, non c’è più dibattito tra ricercatori, ma un “pensiero unico” indiscutibile dettato dalle oligarchie scientifiche (OMS in testa). Non ci sono più scelte politiche dettate da precisi interessi di classe o da differenti visioni del mondo, ma un unico ed ecumenico potere che si inchina alla Scienza. Spariscono così dalla visibilità gli interessi giganteschi che ruotano intorno alla salute, da che mondo è mondo: cercare di segnalarli porta immediatamente all’accusa di complottismo o di rifiutare i progressi scientifici e voler “tornare al medioevo”. La stessa accusa, quest’ultima, che veniva rivolta ai critici delle centrali nucleari, propugnate a suo tempo come esempio di energia pulita e senza rischi da schiere di Scienziati.

Prima pagina di “Il manifesto”, 17 luglio 1986

Un articolo del luglio 1986

Nel lontano 17 luglio 1986, dopo il disastro di Chernobyl, sulla prima pagina del quotidiano “Il manifesto” appariva un articolo dal titolo Non dalla scienza verrà la salvezza, firmato da Fabrizio Clementi e Fabio Giovannini, dove si legge: “Ci sembra pericolosamente arretrata l’idea che solo dalla scienza e dalla tecnica possa venire la salvezza dell’umanità. Non solo perché innumerevoli vicende dimostrano il contrario, ma anche per il fatto che la stessa rifondazione dello statuto sociale dello scienziato non è possibile se non viene definendosi, di pari passo, l’uso, la destinazione economico-sociale della ricerca scientifica e dei suoi esiti; se non vengono individuati i soggetti legittimati a decidere le scelte da assumere, le procedure da attuare; se non si esprimono con chiarezza i valori fondamentali che devono informare la decisione e l’azione politica, il funzionamento delle sedi istituzionali. E’ in gioco la definiziona di una teoria nuova del potere e della forma di governo delle società democratiche odierne”.
Parole tuttora attuali, dopo 34 anni: sulla democrazia nelle società odierne, all’epoca del coronavirus, torneremo in un post successivo.

Una risposta a “DAL “DIRITTO ALLA SALUTE” AL “DOVERE ALLA SALUTE””

  1. Lucida analisi. Condivisibile nella sua razionale coerenza. Da adattare ad una prassi meno gestibile in termini di razionale analisi. Faber

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