DALLA GUERRA DEL GOLFO ALLA GUERRA AL VIRUS

Oggi, con le vicende dell’Afghanistan, si sta tornando a parlare delle guerre guidate dagli Usa negli scorsi decenni. Rileggendo alcuni testi di quasi trent’anni fa, quando George Bush avviò una nuova fase di “imperialismo democratico” a base di conflitti bellici, sono evidenti i paralleli tra le giustificazioni delle guerre di allora, con le censure su scala planetaria, gli inganni e le progressive riduzioni di libertà individuali e collettive, e la situazione attuale in epoca pandemica.

Per argomentare questi paralleli può essere interessante utlizzare le tesi di Lorenzo Cillario, ingegnere, studioso di economia e politica, che negli anni Novanta ha anticipato molte analisi sulla mutazione del capitalismo (da lui definito “capitalismo cognitivo”). Dopo i libri L'”uomo di vetro” nel lavoro organizzato (1990) e L’economia degli spettri (1996) è inspiegabilmente sparito dai radar della saggistica politica e recentemente è stato autore di un testo sulla violenza contro le donne.
In un suo saggio su “Democrazia e diritto” (n. 3, 1993), intitolato Dalla fabbrica internazionale delle menti, Cillario individuava nella Guerra del Golfo del 1990-91 un “macroevento” che ha prodotto mutamenti nella modalità di pensiero e nelle forme culturali della socialità. Per Cillario la vicenda della Guerra del Golfo era andata molto al di là della questione politica, militare ed economica. Aveva, infatti, scandito nuovi spazi e tempi della vita collettiva sul nostro pianeta. Lo stesso sta avvenendo oggi, nell’epoca della pandemia. Il contrasto a un virus sta modificando profondamente le società e la vita del nostro tempo.
Esattamente come accadde con la guerra del Golfo dove si ipertrofizzò la minaccia rappresentata, secondo gli Usa, da Saddam Hussein e si inventò l’esistenza di “armi di distruzione di massa” in mano agli iracheni, oggi si combatte contro un nemico non immaginario (il covid esiste, come esisteva un regime autoritario in Iraq), ma ingigantito nella sua effettiva pericolosità e “mostrificato” attraverso vere e proprie menzogne. Il tutto con il linguaggio bellico usato sin dall’inizio: “siamo in guerra”, “coprifuoco”, i toni militareschi in Italia di un generale scelto per occuparsi della nostra salute, ecc.

Come per i “disertori”, caccia ai non vaccinati

Come la Guerra del Golfo, anche la gestione odierna della pandemia va letta nell’ambito del conflitto tra gli “aspiranti alla supremazia” nello scenario internazionale. La Cina ha fin dall’inizio egemonizzato la risposta alla pandemia, piegando sostanzialmente il mondo intero ai suoi intenti. Politicamente è il paese che ha dettato la linea agli altri, avvantaggiandosi del disastro. Come per la Guerra del Golfo, sono entrate in campo ragioni economiche e il protagonismo di rampanti neocapitalisti digitali. Cavalcando la pandemia il neocapitalismo (che forse non può più nemmeno essere definito tale) ha messo all’angolo il capitalismo industrialista, con un’accelerazione del predominio di un capitale virtuale, digitale e fondato sulle massime tecnologie (anche le grandi aziende farmaceutiche hanno ottenuto i loro vantaggi grazie al monopolio su tecnologie sanitarie avanzate, nella corsa ai vaccini).
Cillario vedeva nella Guerra del Golfo “una sconvolgente rivoluzione collettiva nei rapporti umani, oltreché sociali e politici”, mediata attraverso i mezzi di comunicazione. Esattamente lo stesso sta accadendo nella pandemia. E allo stesso modo della Guerra del Golfo, anche la gestione della pandemia si configura come uno spartiacque tra periodi storici.
Assistiamo ad esempio a un salto di qualità nella censura, come già avvenuto per le guerre. Non più una censura affidata direttamente agli stati (che pure la praticano attraverso i mezzi di informazione statali di cui hanno il controllo), ma ai privati. Le piattaforme social (e persino PayPal) hanno svolto in prima persona il ruolo di censori, cancellando profili e account che si rivelassero dissidenti rispetto alla narrazione dominante. Una forma di censura durante la Guerra del Golfo era l’occultamento delle vittime civili, oggi invece si occultano le vittime di danni gravi o permanenti (compresi i decessi) causati dal vaccino. E i giornalisti attuali appaiono quasi tutti “embedded”, cioè come in una guerra addestrati, inquadrati e integrati nei ranghi dell’esercito o comunque tenuti a fornire solo informazioni compiacenti.
Cillario vedeva nella strategia comunicativa emersa con la Guerra del Golfo una “manipolazione per inondazione”. Tutte le notizie sulla pandemia, come allora quelle sulla guerra, sono state pilotate con millimetrica determinazione, decidendo “ciò di cui l’opinione pubblica doveva (e soprattutto non doveva) venire a conoscenza”. L’inondazione, nel caso italiano, è data ad esempio dal bollettino quotidiano che il Ministero della Salute si ostina a propagare, nonostante non abbia alcuna rilevanza scientifica, statistica o informativa: dati offerti giorno per giorno non consentono alcuna lettura delle vere dinamiche in atto nella pandemia, valutabili su periodi di tempo non quotidiani, ma servono solo a una diffusione permanente dell’ansia nel pubblico.

Panico quotidiano con il bollettino COVID-19

La Guerra del Golfo, ricordava Cillario, è stata un evento di portata mondiale, con effetto dirompente sugli atteggiamenti e i costumi culturali di vasta parte della popolazione mondiale. La pandemia sembra profilarsi in modo analogo. In questo senso va letta la diffusa connivenza a essere manipolati dalla nuova censura: c’è una condivisione di fondo, a livello di massa, delle scelte governative. Lockdown, coprifuoco, lasciapassare, vaccinazione con sieri di cui si ignorano gli effetti a lungo termine e si minimizzano i danni, discriminazione dei non vaccinati, eliminazione di ogni dissenso, sono percepiti come giustificati, o addirittura “giusti”.
Il nemico Covid e di conseguenza i “non vaccinati” e i dissenzienti, come gli iracheni degli anni Novanta, minaccerebbero l’interesse collettivo. Questo opportunismo di massa riflette l’implosione e la perdita di senso delle identità.
Le analogie non finiscono qui. Se per la Guerra del Golfo si rifiutò deliberatamente la via diplomatica, puntando solo sull’opzione militare, così oggi si è denigrata ogni possibilità di investire sulla cura, sulle terapie domiciliari, puntando solo ed esclusivamente al vaccino (pur sapendo che i coronavirus non possono essere sconfitti da un vaccino). In passato, “a sinistra”, si coglievano le pressioni di potenti forze economiche per spingere gli Stati alle guerre. Possibile che oggi, invece, non si colga come le aziende farmaceutiche abbiano cavalcato la “soluzione vaccino” per meri interessi economici? L’ipotesi di una vaccinazione universale significa profitti senza precedenti per quelle aziende: i farmaci per evitare gli esiti più nefasti del Covid sarebbero somministrati solo ai malati o ai contagiati (un segmento minimo della popolazione), mentre i vaccini dovrebbero in teoria essere somministrati al 100 per 100 della popolazione mondiale, senza distinzione tra sani e malati e con periodici richiami e nuove dosi, forse per sempre. Si può essere così ingenui (l’ingenuità colpevole è l’altra faccia del complottismo esasperato) da sottovalutare questo aspetto economico, confidando in un inedito altruismo di grandi gruppi farmaceutici che agirebbero per la prima volta nella loro storia esclusivamente “per il bene” delle popolazioni?

Altrettanto simile al contesto culturale che Cillario segnalava per la Guerra del Golfo è l’esaltazione della tecnologia, con il crearsi di un vero e proprio feticismo della tecnica e della scienza. Già la rivoluzione informatica ha tentato di declassare l’essere umano a fattore subalterno alla tecnica e all’innovazione, mentre oggi a dominare culturalmente e filosoficamente è il calcolo matematico (il rate dei contagi, i criteri per decidere zone rosse, gialle e arancioni, le percentuali di letalità e mortalità, persino i parametri per decidere chi deve essere intubato, senza valutare il singolo caso individuale).
L’immaginario collettivo è così inondato di cori che inneggiano alla perfezione tecnica del vaccino, usando ad esempio il termine “immunizzare”, chiaramente inappropriato per un siero che non dà alcuna immunità, ma al massimo può evitare gli esiti più gravi del contagio (anche se attualmente i dati dei paesi portati a esempio della vaccinazione di massa, come Gran Bretagna e Israele, stanno smentendo anche questo assioma).

Scritta luminosa in un comune veneto

Nel 1990-91 ci fu una drammatica rappresentazione collettiva sulle ragioni della guerra, oggi c’è una altrettanto drammatica rappresentazione collettiva della pandemia che ha indotto l’opinione pubblica ad accettare la riduzione drastica delle proprie libertà personali in cambio della promessa di una salvifica eliminazione di un virus.
La paura per una malattia è altamente coinvolgente sul piano emozionale e opera nel profondo di moltitudini di cittadini. Così è stata facile un’operazione di “cattura, irretimento, passivizzazione e paralisi” delle coscienze, utilizzando tra l’altro leve psicologiche sperimentate, come l’evocazione dell’olocausto (le accuse ai “negazionisti”) per stigmatizzare i critici della gestione ufficiale della pandemia.
Secondo Cillario la Guerra del Golfo è stata una sorta di prima guerra mondiale dell’immaginario collettivo che ha messo sottosopra le forme di convivenza e la riflessione sulla natura delle relazioni umane. Trent’anni dopo, il Covid ha prodotto la seconda guerra mondiale dell’immaginario collettivo, con armi più potenti ed esiti più nefasti.