FILANTROPIA DEL TERZO MILLENNIO

Nelle caselle di posta elettronica di chi ha firmato in passato petizioni di Change.org, la piattaforma leader mondiale delle petizioni da firmare “con un click”, arriva in questi giorni una mail che ha come mittente semplicemente “Stephanie”, in realtà direttrice in Italia di Change.org. Si tratta di Stephanie Brancaforte, che si è conquistata anche un blog personale sul “Fatto Quotidiano”, dal ricco curriculum: tra i tanti incarichi, nel 2002 era con Amnesty, poi ha lavorato per il Foreign Service Officer del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, e nel 2012 era un’attivista di Avaaz, organizzazione non governativa di New York che ha avuto un ruolo importante a fianco delle politiche Usa in Siria ai tempi di Hillary Clinton (Brancaforte ha partecipato ad esempio alla conferenza internazionale del Group of Friends of the Syrian People, creato da Francia e Usa in chiave antirussa e anticinese. Oggi Avaaz, inevitabilmente, si occupa anche di dare la caccia alle “fake news” su Internet) .

“Stephanie” ci chiede nella mail di firmare una petizione per “chiedere giustizia per George Floyd”, l’uomo ucciso a Minneapolis durante un arresto. La petizione sarebbe lanciata da una certa “Kellen” (anche qui, confidenzialmente indicata senza cognome), una ragazza quindicenne (dopo Greta, immancabile la teenager impegnata nelle battaglie d’opinione). La mail ci informa che “13 milioni di persone hanno già firmato”. Viene la tentazione di firmare: chi ha a cuore la giustizia, l’antirazzismo, ecc. come potrebbe non firmare? Poi si continua la lettura della mail e qualche dubbio viene: “Nei giorni scorsi Beyoncé, Chiara Ferragni e lo stesso avvocato della famiglia di George Floyd hanno firmato e condiviso la petizione sui loro social, chiedendo a gran voce anche ad altri di firmare e condividere”. Gli unici nomi eccellenti indicati che sosterrebbero la petizione, dunque, sono quelli di Beyoncé e Chiara Ferragni. Ecco, Beyoncé (una delle cantanti più ricche del mondo: con il marito Jay-Z, secondo “Forbes”, nel 2020 possiedono oltre un miliardo di dollari) e l’imprenditrice-influencer Ferragni… I due fiori all’occhiello della petizione sono loro. Qualcosa non torna.

Dalla mail di Change.org

A qualcuno potrebbe venire il malevolo dubbio che la petizione sia un’abile iniziativa soprattutto per “acchiappare” firmatari e rafforzare Change.org tramite sottoscrizioni. Che cos’è, infatti, Change.org? Un’impresa privata, che però (forse unica al mondo) sostiene che “non esiste allo scopo di realizzare profitti”. La contraddizione in termini è stata fatta notare dal sito web di “Vita”, la rivista del Terzo settore vicina alle Acli. Chiedendosi perché un’impresa privata come Change.org chieda donazioni, Valerio Melandri e Carlo Mazzini scrivono: “Change.org è un’azienda profit, nata nel 2007 che ha il quartier generale a San Francisco, ma è registrata nel ‘paradiso fiscale’ dello Stato del Delaware (dove di solito va a registrarsi chi vuole pagare meno tasse possibili). Change.org è un’azienda profit con dei proprietari e degli investitori.” A chiedere donazioni, sostengono i due autori, devono essere le organizzazioni non profit, trasparenti, senza scopi di lucro e che reinvestono gli utili interamente per gli scopi organizzativi: fare donazioni a Change.org, invece, è come fare donazioni alla Fiat (infatti non sono deducibili dalle tasse). Se non ci fosse un “ritorno”, del resto, perché mai un’azienda privata dovrebbe spendere quattrini, come fa Change.org informando di questo nella mail di “Stephanie”, per affiggere “oltre 100 cartelloni pubblicitari digitali con il link alla petizione e il numero di firmatari” sui palazzi di Minneapolis e New York, città dove la petizione è pubblicizzata anche sui taxi?

Cartellone digitale di Change.org

Forse ha ragione “Vita”: “Fare la pseudo-non profit che raccoglie donazioni (non deducibili) per sostenere il suo modello di business, è un’ambiguità discutibile. L’intermediazione filantropica (cioè quello che fanno le organizzazioni non profit quando fanno fundraising) è una cosa seria e il modello di change.org rischia di abbatterla con azioni che disorientano i donatori. La ‘fede pubblica’, cioè la fiducia che le persone ripongono sul settore non profit perché privo di interessi egoistici, è il più importante asset del non profit. Non si può tollerare che aziende – seppur dirette anch’esse a cambiare il mondo in meglio – mettano a repentaglio l’esistenza stessa del non profit.”