GENOVA VENT’ANNI DOPO: CRONACA DALLA ZONA ROSSA

Ho aspettato che finisse la celebrazione delle giornate del G8 a Genova, vent’anni dopo quel luglio 2001. Non volevo partecipare a rievocazioni in molti casi prive di qualsiasi autocritica e gestite spesso da chi, in questi 20 anni, ha cambiato campo e usa la memoria di quella vicenda. Non propongo ulteriori riflessioni, ma ripubblico una semplice cronaca dei giorni tra il 17 e il 23 luglio 2001. Sono una sorta di diario dalla “zona rossa” che scrissi all’epoca per l’agenzia giornalistica AGA. Non ci sono prese di posizione, solo un ritratto il più possibile neutro di quanto avvenne. Salta agli occhi, comunque, che allora come oggi furono sospese libertà e diritti in nome della sicurezza (ieri dell’ordine pubblico, oggi sanitaria). Ricordo la mia partecipazione ai cortei nonviolenti e lo spettacolo di vera guerra cui ho assistito in alcune giornate. Oggi sembra che il nostro destino sia di vivere tutti in una gigantesca zona rossa, anzi verde come il green pass. Nessuno lo avrebbe immaginato, vent’anni fa.

17 luglio 2001

Ho il privilegio (o la sfortuna) di abitare a Genova in quella che è stata definita “la zona rossa”, cioè la parte di città che verrà “militarizzata” per il G8: una fetta consistente di centro storico, tutto intorno a Palazzo Ducale, sede prevista del vertice (se le riunioni non trasmigreranno in alto mare, come si vocifera, a bordo di una nave americana), compresa Via San Lorenzo e Piazza De Ferrari, due luoghi cruciali della città. E dentro la “zona rossa” si trovano anche molti carruggi, i labirintici e strettissimi vicoli tipici di questo centro storico medievale.

Per me, come per tanti altri abitanti dello stesso perimetro “blindato”, si pone il problema se lasciare la città o godersi l’emozione di un avvenimento di portata mondiale a due passi da casa. Finora solo un sindacato di polizia ha invitato esplicitamente i cittadini ad abbandonare Genova nella settimana del G8. Ma certo chi vuole fuggire dalla città dovrà farlo in anticipo, perché nei giorni del vertice a Genova chiuderanno i caselli autostradali, le stazioni ferroviarie e il porto: uscire ed entrare nel capoluogo ligure sarà davvero un’impresa impossibile.

E nel frattempo, come vivono i genovesi della “zona rossa” questi giorni di attesa e di tensione in vista della fatidica settimana del G8? Nella tradizione della città, c’è ben poca agitazione, semmai il consueto “mugugno”. Per ora il peso del G8 si è manifestato solo con i numerosi cantieri che stanno bloccando da mesi le vie cittadine. E il proclamato “censimento” degli abitanti della “zona rossa”, con visita a domicilio delle forze dell’ordine, non ha avuto luogo.

Certo qualche disagio comincia a farsi sentire, o almeno le notizie allarmistiche stanno facendo breccia. La stampa locale ogni giorno propone gli scenari più apocalittici: attacchi di aeroplanini telecomandati capaci di sganciare mini-bombe o virus tossici, palloncini al sangue infetto, uomini-topo che assalterebbero il vertice dai cunicoli sotterranei della città, e così via. I timori per le semplici tute bianche dei contestatori anti-globalizzazione (che secondo i piani attuali rimarranno confinati a vari chilometri dalla sede del G8, vicino allo stadio) sono sopravanzati dalle paure per il terrorismo internazionale. Ma soprattutto si temono i disagi inevitabili: ad esempio, chiuderà il Mercato Orientale, che serve proprio il centro storico, e il blocco degli accessi ai veicoli impedirà i rifornimenti ai negozi. Non si potrà comprare da mangiare, quindi, ma non si potrà nemmeno buttare l’immondizia: tutti i cassonetti dei rifiuti e i cestini saranno rimossi per togliere nascondigli a eventuali bombe.

Per gli abitanti della “zona rossa”, le noie maggiori finora hanno riguardato quanti hanno le finestre affacciate proprio su Palazzo Ducale. I cecchini delle forze speciali che dovranno vigilare sul G8 hanno cominciato a fare le loro esercitazioni, e per la durata del vertice gli inquilini con finestre sul Ducale avranno in casa qualche ospite armato di fucile di precisione. E la polizia ha richiesto le chiavi di tutti i portoni che guardano via San Lorenzo, forse per poterli trasformare in rifugi di fortuna in caso d’emergenza.

I negozianti della “zona rossa” sono ancora incerti. Chiudere o approfittare delle possibili crescite di affari? I bar, ad esempio, sperano di aumentare la clientela con gli innumerevoli agenti della forza pubblica (non solo italiana) che dovrebbero sostituire numericamente i consueti turisti stagionali. Ma tutti aspettano le mosse del vicino. “Se chiudono gli altri, chiudo anch’io”, dice un barista che ha il suo negozio affacciato proprio su Palazzo Ducale. Per ora, i genovesi della zona “blindata” preferiscono restare in attesa.

18 luglio 2021

Che a Genova i fatidici giorni del G8 si stavano avvicinando lo si è percepito definitivamente alle sette del mattino di lunedì scorso. Gli abitanti dei palazzi che scorrono lungo il perimetro della cosiddetta “zona rossa” sono stati svegliati da rumori di ferraglia e dalle voci di plotoni di muratori. Si stavano erigendo, infatti, le barriere metalliche che dovrebbero proteggere la cittadella del G8 dall’assedio dei manifestanti. La scena aveva qualcosa di medioevale, sembrava di assistere alla preparazione di antiche barricate per difendere il castello del re dall’attacco della plebe in rivolta. I muratori, tra l’altro, hanno faticato a innalzare le pesantissime barriere e si incitavano tra loro con delle grida ritmiche che dovevano essere simili a quelle che gli stretti vicoli genovesi (in parte proprio di origine medioevale) devono aver udito in un lontanissimo passato.

Ma la modernità è subito tornata a farsi sentire con il suono degli elicotteri che sorvolano incessantemente la città, e con le pattuglie di polizia, carabinieri e guardia di finanza che battono da giorni tutte le vie del centro di Genova. Sono apparse anche delle bizzarre schiere di auto di grossa cilindrata grigio-metallo, tutte uguali e tutte guidate da poliziotti in borghese: sono talmente vistose che potrebbero essere tranquillamente guidate da agenti in divisa.

Le barricate (fissate a terra da ganci e saldate con il cemento) hanno segnato anche il calare di una strana atmosfera sul centro storico genovese. Gli extracomunitari, che in alcuni vicoli superano in numero i cittadini italiani, sembrano spariti, volatilizzati. Hanno paura dei controlli, molti non sono in regola, e hanno abbandonato per primi la città o evitano di uscire di casa. Ma i genovesi stanno seguendo il loro esempio. I “carruggi” sono stranamente deserti, molti negozi hanno chiuso. Le persone anziane, previdenti e memori di periodi bellici che sembrano tornare attuali, hanno fatto grosse scorte alimentari: nei supermercati della “zona rossa” non si trova più una bottiglia di acqua minerale o una scatola di fagioli.

I commercianti sembrano i più terrorizzati, e stanno erigendo le loro personali barricate a difesa dei negozi. La catena di videocassette a noleggio Blockbuster ha rimosso le insegne e ha costruito delle spesse paratie di legno davanti alle vetrine. McDonald’s ha coperto prudentemente tutte le insegne, sapendo di essere un simbolo non troppo gradito agli anti-globalizzatori. Ma nella centralissima via XX Settembre sono molti i negozianti che hanno sigillato i locali con muri di compensato, polistirolo, cartone, metallo.

Il paesaggio urbano sta cambiando velocemente. Davanti a Palazzo Ducale, sede degli incontri più prestigiosi del G8, fino a ieri c’era una grande edicola di giornali. “Ci hanno permesso di rimanere aperti per garantire l’informazione, come unica edicola della zona rossa”, diceva il gestore dell’edicola ancora pochi giorni fa. Adesso dell’edicola resta solo qualche traccia sull’asfalto, un paio di mattoni e di lastricato divelto: è stata rimossa “per motivi di sicurezza”.

Di fatto, la città sarà spezzata in due dalle barricate. Chi risiede nella zona rossa ha avuto un lasciapassare (un semplice foglio di carta A4 dove viene apposto il nome del titolare, che qualsiasi malintenzionato potrebbe falsificare con una normale fotocopiatrice), ma i varchi sono pochi e si presume che anche per gli abitanti spostarsi sarà un problema, nei prossimi giorni. E finora siamo alle premesse: il vero blocco del centro e i sigilli alla zona rossa scatteranno solo oggi.

19 luglio 2001

Ieri, per i genovesi, è stata la giornata del “grande mugugno”. Finalmente è arrivato il temuto giorno della chiusura ermetica delle barriere, che delimitano l’invalicabile “zona rossa” del G8, e i disagi hanno immediatamente scatenato le lamentele dei cittadini. O meglio, dei pochi abitanti rimasti a Genova: la città è deserta, come non accade nemmeno a ferragosto. Nei vicoli circola solo qualche anziano, che guarda sconsolato le barricate metalliche e sfila davanti alle saracinesche abbassate dei negozi. Il mercato orientale, che serve gran parte della città, è stato chiuso, il supermercati della zona rossa e gialla stanno finendo le scorte e chiuderanno entro oggi. Da venerdì sarà anche difficile trovare il pane. In stradone Sant’Agostino, nel cuore del centro storico, ci sono una trentina di negozi. Solo due sono aperti: la libreria dei centri sociali e un negozietto specializzato in prodotti di canapa indiana.

Ma per ora i problemi principali sono rappresentati dalle barriere che impediscono l’accesso a gran parte della città. Qualche barricata è fornita di una porticina, e qualcuno ogni tanto chiede ai poliziotti oltre la grata se si può passare. I rifiuti, se non si possiede il pass, sono immancabili e anche le proteste. Si comincia ad alzare la voce, l’insistenza di chi vuole superare le sbarre è vivace, ed ecco spuntare all’improvviso decine di fotografi e troupe televisive per riprendere le piccole diatribe: sono loro, infatti, la popolazione più numerosa nel centro storico, alla ricerca di immagini curiose dato che mancano ancora i grandi leader mondiali. In compenso, nella zona rossa si moltiplicano gli uomini in abito blu (ormai tipica divisa dei politici mondiali e del loro seguito), in attesa degli ospiti d’onore.

I pochi genovesi superstiti al grande esodo peregrinano in cerca di una strada aperta che consenta di raggiungere il resto della città. I disagi maggiori riguardano, in realtà, chi abita nella zona gialla (creata per interdirne il percorso ai cortei), praticamente isolata e imprigionata dalle barriere. Due vecchine stanno sul portone a guardare l’elicottero che le sorvola incessante, altre due rievocano la guerra (“nemmeno durante la guerra si sono viste cose simili”).

Ieri notte un sessantenne è caduto dal balcone, in salita Pollaiuoli, a due passi da Palazzo Ducale, sede principale del G8. L’autoambulanza è stata non poco ostacolata dal labirinto di barriere che delimita il centro storico, e anche far passare una barella dai piccoli varchi delle barricate è un problema. In una situazione simile, è inevitabile che sorgano le leggende metropolitane e le paure di ogni tipo. Ieri c’è stato un acquazzone e molti hanno temuto che la pioggia proseguisse: la ragione dei timori è nella piombatura dei tombini, effettuata nei giorni scorsi quando era circolata la voce che degli “uomini-topo” potevano utilizzare le fogne per portare l’attacco al G8. Genova è città di alluvioni e il centro storico in particolare si allaga con facilità, con i tombini ermeticamente chiusi anche un temporale può suscitare legittime preoccupazioni. Ma a proposito di uomini-topo, l’ultima leggenda metropolitana ha inventato altre strane creature. Sono gli “uomini-scimmia” che si starebbero preparando a scavalcare le altissime barricate di metallo arrampicandosi acrobaticamente. Vedremo cosa offrirà nei prossimi giorni lo strano zoo in cui si sta trasformando Genova.

20 luglio 2001

Dopo i mugugni, a Genova ieri è arrivata anche la delusione, almeno per chi abita nella zona rossa. Quasi tutti i negozi sono chiusi anche qui, e le pattuglie di polizia e carabinieri prevalgono numericamente sui pochi abitanti. Chi ambiva di vedere, almeno da lontano, Bush, Putin o Tony Blair rimarrà deluso: la circolazione degli abitanti nella zona rossa non è affatto libera, possono solo entrare e uscire dai varchi, ma per avvicinarsi a Palazzo Ducale, sede delle principali riunioni G8, non basta il semplice pass, occorre almeno avere il cartellino giallo che spicca al collo di giornalisti, fotografi e troupe televisive. I quali, finché non cominceranno i cortei degli antiglobalizzatori o i meeting dei grandi leader politici, non sanno più cosa riprendere e fotografare, in una città deserta, tanto che spesso si scattano istantanee tra loro.

Sarà ben noioso anche il passeggio delle first lady e delle numerose persone al seguito dei politici, nei prossimi giorni. Due o tre boutique per lo shopping sono aperte, ma niente di più. Eppure ci si era illusi che almeno la centralissima via XX Settembre restasse “viva” durante il G8. Le strade principali che si dipanano da qui sono state ripavimentate, dotate di alberelli e panchine. Un cartello informa ancora: lavori straordinari G8. Ma nessuno dei partecipanti al G8 passerà in queste strade, che sono state sbarrate dalle barricate metalliche e dove tutti i negozi sono chiusi.

I pochi cittadini rimasti in città nella zona gialla, intanto, cercano qualche distrazione improbabile. Alcune delle cancellate erette nei giorni scorsi stanno diventando un luogo di ritrovo. La gente si ferma lì davanti, fa capannello, commenta le ultime voci su attentati e disagi, scruta dalle feritoie delle barricate per vedere qualcosa di più. Alcune barriere, infatti, sono dotate di un piccolo quadrato aperto. Un signore di mezza età guarda attraverso la feritoia, e vede solo un muro di poliziotti. Ma la feritoia, secondo un giovane in maglietta che sosta a sua volta davanti alla barricata, avrebbe una funzione più precisa: serve per inserire gli idranti, in caso di attacco dei contestatori.

Il centro storico genovese ha sempre dato ospitalità a molti sbandati, barboni e strani personaggi che parlano da soli o siedono a terra chiedendo la carità. Prima dello sbarramento molti sciamavano nelle strade più commerciali, dove avevano la loro postazione fissa per mendicare. Ora girano a vuoto nei vicoli, commentando a voce alta (e spesso con parole incomprensibili) la situazione straordinaria in cui si imbattono loro malgrado. Ma molti di questi personaggi si sono volatilizzati, insieme agli abitanti “normali” del quartiere. Prevale il deserto, il vuoto, il silenzio.

A rompere la monotonia, anche nella zona gialla, pensano ogni tanto i motociclisti della polizia, che improvvisano brevi corse nei “carruggi” approfittando di una occasione irripetibile: non c’è una macchina a ostacolare il percorso, non c’è un cittadino.

Le divise nere, grigie o blu delle varie forze dell’ordine sono il paesaggio più ricorrente. A un certo punto si nota un insolito assembramento di poliziotti davanti a un negozio. Saranno almeno una ventina, con l’elmetto al fianco e il manganello alla cintura. “Cosa succede? Un attentato?”, si preoccupa una solitaria signora che deve aver superato gli ottant’anni. Niente paura, i poliziotti stanno solamente facendo la coda davanti all’unica tabaccheria aperta che hanno trovato, per comprare sigarette e schede telefoniche. La prima manifestazione degli anti-G8 ci sarà solo tra qualche ora.

21 luglio 2001

Sono davvero strani i genovesi. Fino alla tarda mattinata di ieri il centro storico di Genova era deserto, apparentemente abbandonato da tutti. Ma appena sono cominciate le manifestazioni più calde, gli scontri e i tafferugli, all’improvviso le strade si sono di nuovo popolate. Sono riapparsi persino gli extracomunitari, che sembravano spariti dalla città. Tutti a guardare, da postazioni di sicurezza, quel che accadeva. Signore anziane si sono mosse in gruppo per trovare una posizione rialzata che consentisse panoramiche su cariche della polizia e lanci di bottiglie. Giovani e meno giovani si sono allineati sui marciapiedi, signori insospettabili sono usciti di casa dotati di macchine fotografiche e telecamere, magari in compagnia del cane. Un verduriere di via Canneto il lungo, a un passo dalle riunioni G8, è stato tutto il giorno in giro per le aree infuocate della città, con telecamera, moglie e figlio neonato al seguito, spostandosi là dove si sentivano urla o rumori devastanti.

Ma fino a mezzogiorno la zona rossa e la fascia limitrofa della zona gialla sembravano ancor più disabitate dei giorni scorsi. C’era una tensione altissima, nell’aria, le barriere erano aumentate, perché nella notte degli enormi container si erano aggiunti alle cancellate metalliche. Poi avevano fatto la loro apparizione, soprattutto in via XX Settembre e Piazza della Vittoria, i mezzi corazzati azzurri della polizia, che non si vedevano in giro dagli anni di piombo. E a fianco erano schierati i più recenti cingolati neri dei carabinieri, dotati di pala meccanica, e i grandi camion della forestale (con serbatoio d’acqua e idranti). Insomma, risveglio con città in assetto di guerra, per di più attraversata da anacronistici poliziotti a cavallo.

Nella zona rossa anche i pochi varchi a poco a poco diventano impermeabili e i cittadini sono ulteriormente prigionieri. Arrivano le prime autorità, in una via San Lorenzo semideserta, se non fosse per cameraman e giornalisti. Però una piccola pattuglia di civili fa da claque quando escono i leader dalle auto blindate. Un breve applauso, nient’altro.

Tutt’intorno al recinto che protegge il G8, invece, sembra non ci sia davvero nessuno. Solo una signora solitaria trasporta grosse buste della spesa, dopo un lungo pellegrinaggio per trovare l’unico supermercato aperto del quartiere. Ma nella zona gialla si vedono soprattutto i giovani antiglobalizzatori, che vagano stanchi e assetati tra vicoli e strade dove non c’è nemmeno un bar aperto. Per non parlare della totale mancanza di servizi igienici d’emergenza, che invece appaiono sempre appena si sa che c’è un affollamento straordinario (di recente, per la marcia degli alpini a Genova le toilette chimiche erano ad ogni angolo).

I variopinti “turisti” anti-G8 apparivano come astronauti atterrati su un pianeta morto. Questo, fino a mezzogiorno. Poi, all’improvviso, i genovesi sono riapparsi. Non c’era “campo di battaglia” che non avesse i suoi spettatori. Le terrazze del palazzo della Regione, proprio sopra piazza Dante dove i manifestanti assediavano le barricate di ferro, si sono popolate di gente che guardava lo spettacolo, sussultava ai primi lanci di acqua dagli idranti e commentava la situazione eccezionale. “Vedrai che riescono a scavalcare”, dice un ragazzino. “No, non ce la fanno”, ribatte una donna sovrappeso che non manca di sconsigliare il giovane dall’avvicinarsi troppo ai contestatori. Nel pomeriggio una carica farà sloggiare di forza i manifestanti dalla piazza, e allora anche la terrazza della Regione si svuota. Qualcuno torna a casa, ma altri, incuriositi, si spostano verso altri spettacoli di guerriglia urbana. Il vento porta odore di gomme bruciate e lacrimogeni, da Marassi e dalla Foce. E allora è là che ci si sposta. Sono davvero strani i genovesi.

22 luglio 2001

Doveva essere la zona più a rischio, dove aver paura per gli attentati terroristici o le incursioni degli anti-globalizzatori: invece la zona rossa di Genova è rimasta incontaminata, niente scontri, niente violenze, niente “tute nere”. Per chi abita qui, nella zona rossa e nella cerchia strettamente limitrofa di vicoli e strade, tutti i cataclismi di questi due giorni di violenze sono stati visti solo alla televisione. Il black blok? Qui non si sa nemmeno cosa sia, non si è vista una tuta nera nemmeno attraverso le barriere metalliche, perché la frangia più estrema dei contestatori non ha mai provato ad avvicinarsi alla zona rossa, preferendo agire nei quartieri più decentrati dove non c’era nemmeno un poliziotto.

Nelle prime ore del pomeriggio di ieri, però, il vento forte ha portato anche in zona rossa qualche lieve sentore dei lacrimogeni sparati alla Foce, e soprattutto si vedeva il fumo nero delle auto in fiamme, al di sopra dei palazzi. Nient’altro. Ieri lo scenario del centro storico, zona rossa e zona gialla, era ancor più lunare, desolato. Strade deserte, mentre dalle (poche) finestre aperte per il caldo provenivano i suoni non della telenovela del sabato pomeriggio ma della ininterrotta diretta tv dell’emittente genovese Primocanale. A passeggiare nei vicoli solo rare coppie di donne anziane, che non rinunciano nemmeno con la guerriglia a fare due passi. Qualche capannello di uomini, invece, commentava i fatti clamorosi di questi due giorni di fuoco. Discorsi piuttosto pacati, distaccati, senza identificazione con i manifestanti ma nemmeno troppa simpatia per il gigantesco apparato militare che ha occupato la città e non ha evitato che ci fosse anche il morto.

Però ieri, per la prima volta, la disobbedienza civile si è inoculata anche a pochi metri da Palazzo Ducale, dove si stavano concludendo i lavori del G8. In mattinata, piccoli gruppi di persone si avvicinavano alla barriera più vicina all’ingresso del palazzo, su Piazza Matteotti, e urlavano “assassini”. Poi, nel pomeriggio, proprio intorno alla stessa barriera si sono alzate a tutto volume le note di Manu Chao, ormai cantante simbolo degli anti-G8, e le canzoni del periodo anarchico di Francesco Guccini. I poliziotti di guardia alle barriere si sono guardati intorno, per cercare di capire da dove provenisse la musica assordante. Non c’erano altoparlanti o megafoni a vista, quindi la musica proveniva da un’abitazione. Ma capire quale fosse la finestra “incriminata” era impossibile. Così il concerto improvvisato è andato avanti per ore.

E anche ieri, complice una splendida giornata di sole, è proseguito il “turismo” nei punti panoramici della città da dove osservare gli scontri, le cariche, le violenze che ricordavano in modo impressionante l’Intifada palestinese. Le grandi terrazze vicino all’ospedale Galliera (affollato di ambulanze che trasportavano i feriti) si sono popolate di spettatori. E in effetti era come assistere senza pericolo a una scena di vera e propria guerra. Mezzi corazzati, blindati, cingolati, elicotteri a bassa quota e persino le navi della Guardia costiera a pattugliare il lungomare dove stavano avvenendo i primi combattimenti. E poi un fiume di caschi delle varie forze dell’ordine, in continuo movimento appena si notava la sortita di qualche manifestante armato di pietre e bottiglie. Il tutto tra colonne altissime di fumo nero e vapori biancastri dei lacrimogeni. Questa volta le scene ad effetto dei kolossal bellici, stile Pearl Harbor,erano a pochi passi da casa. Ma purtroppo era tutto tragicamente vero.

23 luglio 2001

Sembrava che fosse tutto finito all’imbrunire dell’altro ieri, quando gli scontri a Genova si erano placati. Gli abitanti della zona rossa e gialla credevano di tirare un definitivo sospiro di sollievo. Ma c’era ancora qualche sorpresa. Come si sa, nella notte tra sabato e domenica c’è stata una irruzione della polizia nelle due scuole dove erano ospitati alcuni manifestanti del Genoa Social Forum, ubicate in un quartiere ben lontano dalla zona rossa, con altre cariche e altri feriti. Verso le due-tre di notte l’eco di quanto era successo si è ripercosso anche sull’area intorno a Palazzo Ducale e Piazza De Ferrari. Un impressionante carosello di auto della polizia, sgommate, rumori, ordini ad alta voce. E un altro risveglio di soprassalto per chi abita nelle vicinanze.

L’ultimo atto di questa lunga “blindatura” del centro storico genovese, dunque, è arrivato solo all’alba di ieri. Soddisfatti per essere rimasti esclusi dalle violenze, gli abitanti del centro storico sono così tornati a respirare, per quanto ancora ingabbiati dalle impenetrabili barriere metalliche. Una soddisfazione grama, quella di aver scampato il pericolo del “ferro e fuoco”, perché il bilancio di questa settimana è comunque pesante sotto tutti i punti di vista, anche per chi vive nei vicoli, nei celebri “carruggi”.

Sotto il continuo frastuono degli elicotteri a bassa quota, i capannelli di persone che si formavano ieri nel centro storico, leggermente più nutriti rispetto ai giorni precedenti, commentavano con amarezza quanto avvenuto, e c’erano critiche per tutti. Per i teppisti, per la gestione dell’ordine pubblico (giacché l’ordine non è stato tutelato), per gli otto potenti che “ridono e mangiano” mentre la città è in ginocchio e gli ospedali sono pieni di feriti. E qualcuno se la prendeva anche con i troppi genovesi che hanno abbandonato la città: se i vandali non avessero trovato una città fantasma, ma viva e abitata, avrebbero potuto fare indisturbati tutto quello che hanno fatto?

C’è chi lamenta la chiusura dei forni, soprattutto perché sente la mancanza della adorata focaccia genovese. Dice un signore con i capelli bianchi: “Ho letto che i partecipanti al G8 hanno potuto degustare la focaccia. Bé, beati loro, perché qui non c’è un panettiere aperto da tre giorni!” Ma c’è anche chi minimizza. Un giovanotto ben vestito che abita a Brignole si introduce nella conversazione tra cinque o sei persone che stazionano davanti all’unico bar aperto. “La tv ha esagerato, poteva andare peggio.” Non riceve consensi, qui l’impressione è di aver vissuto giorni di guerra. Anche al di là delle violenze e delle devastazioni, l’onta delle barriere metalliche che sigillano i vicoli non è stata ancora dimenticata. Molti la sentono come un’offesa, una violazione della libertà, contro la quale, però, ben pochi hanno alzato la voce: è stato tutto troppo repentino e inaspettato.

Ormai, però, il peggio è passato. Accanto alle barriere si accalcano persone che sperano in una riapertura anticipata, visto che i leader mondiali sono ripartiti. Ma bisogna ancora aspettare (solo alle 17.40, infatti, è arrivato il ripristino della libera circolazione per le strade cittadine, salutato da un applauso dei cittadini che si assiepavano davanti alle paratie metalliche). L’altro ieri attraverso le barriere si sentiva urlare “assassini!”. Ieri invece qualcuno ha già superato la memoria dei giorni scorsi e urla un più innocuo “tabaccaio!” L’unica tabaccheria aperta del quartiere, infatti, è al di là della rete metallica, vicinissima ma irraggiungibile, e si spera che il tabaccaio si affacci per chiedergli un pacchetto di sigarette da far passare attraverso la piccola apertura quadrata nella cancellata. L’emergenza non è ancora conclusa, anche per chi vuole solo accendersi una sigaretta.

Fabio Giovannini