IL FILOSOFO DELIRA?

Giorgio Agamben, autorevole filosofo italiano, studioso tra l’altro di Michel Foucault, propone riflessioni non sempre condivisibili, ma le sue analisi controcorrente di questi ultimi mesi di fronte all’emergenza covid sono interessanti, ad esempio un testo per “Quodlibet”, Biosicurezza e politica. Quanto meno, nella sostanziale afasia della cultura non solo italiana a proposito della pandemia, Agamben tenta di leggere quello che accade con uno sguardo non appiattito sull’autoritarismo sanitario dominante in quasi tutto il mondo come unica risposta al virus.

Le opinioni recenti di Agamben hanno però fatto perdere le staffe a molti suoi colleghi del mondo intellettuale. Complice il perverso influsso dei social e di Facebook in primo luogo (che inducono per natura a cercare consensi tra truppe di seguaci, anzi di “followers”, e guadagnarsi like a profusione), assistiamo a post e articoli pieni di insulti per il povero Agamben. Qualcuno lo contesta anche nel merito, cosa ovviamente più che legittima, ma non resiste alla tentazione di passare all’insulto e alla denigrazione. Faremo qualche esempio.

Giorgio Agamben è l’Apostolo Filippo
in “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) di Pier Paolo Pasolini

Il professor Andrea Zhok, docente universitario di filosofia, definisce quello di Agamben prima “opinionismo tanto al chilo privo di ogni appiglio”, poi “spazzatura” e conclude sentenziando che Agamben “dev’essere denunciato e svergognato per ciò che è”. Lo stesso Zhok, del resto, impegnato a dare del complottista a chiunque, liquida con una sola frase e senza altri argomenti chi su Facebook mette in discussione le sue tesi: “dimostra che lei non sa leggere un testo in italiano” risponde secco a una critica.

Da parte sua Alberto Abruzzese, stimato sociologo, parla del “recente delirare di Agamben” (cavandosela con l’ironia di sottolineare che “comunque ‘delirio’ è parola alta e nobile”).

Entra in campo contro il filosofo anche uno scrittore, oltre che Assessore alla cultura di un Municipio romano in una giunta di centrosinistra, Christian Raimo, che bolla come “monnezza” le riflessioni di Agamben e invoca di fatto la censura, prendendosela con l’Istituto italiano di studi filosofici per aver osato pubblicare un “testo delirante” (ecco che torna l’accusa di “delirio”) di Agamben. E dato che il presidente dell’Iisf, Geminello Preterossi, rivendica il diritto di far circolare anche opinioni provocatorie, Raimo bacchetta persino lui additando il suo come “un testo pasticciato e intellettualmente disonestissimo”, e rincara poi la dose definendo le riflessioni di Agamben e Preterossi “un frankenstein assemblato male con pezzi di carne guasta” e “una roba imbevibile”.

Christopher Lee è il Mostro
in “La maschera di Frankenstein”

Colpisce che a firmare gli strali contro Agamben siano soprattutto persone che gravitano nel “progressismo” e nella sinistra, anche quella che un tempo si definiva sinistra radicale.
E’ il caso di Leo Essen, firma ricorrente di “Sinistrainrete” e altri siti web per il quale il pensiero di Agamben è “summa di anni e anni di new age, di medicina alternativa, di oroscopo e tisane, di echinacee ed erba cipollina, di astrologia e cerchi nel grano”. E si domanda: “cosa distingue ciò che dice Agamben da ciò che dicono i terrapiattisti?” (questi ultimi sono diventati ormai un classico, con le scie chimiche e i no-vax, per delegittimare un interlocutore).

Da parte nostra, ringraziamo Agamben per sollecitare un pensiero critico sulla pandemia, senza per questo sposare tutte le sue tesi. Ma soprattutto lo ringraziamo per aver suscitato tante reazioni scomposte, segno che ha toccato nervi sensibili. E’ divertente vedere, in epoca di coronavirus, docenti universitari, scrittori e saggisti un tempo abituati a controversie in punta di penna, accessibili solo agli addetti ai lavori, o estremamente diplomatici nelle loro imperscrutabili diatribe con i “mostri sacri” accademici, trasformarsi in “haters” contro un quasi ottantenne filosofo reo di dire quello che pensa. Forse è un fatto positivo: chiarisce molte cose e fa uscire allo scoperto contraddizioni e limiti di tanta cultura italiana.