IL POTERE AGLI INCOMPETENTI SOCIALI

Nelle diatribe degli ultimi mesi, non solo sui social, si invitano spesso gli interlocutori a tacere perché non avrebbero “le competenze” per discutere, ad esempio, le regole imposte alla popolazione durante l’emergenza sanitaria. Sei medico? Sei virologo? Sei almeno un infermiere? Queste le domande per delegittimare l’avversario. Con la stessa logica in una fabbrica non ci si sarebbe mai potuti opporre ai licenziamenti o magari a orari di lavoro vessatori perché gli operai non sono economisti: se un economista, quindi competente, ritiene che per far quadrare i bilanci bisogna licenziare o magari tagliare le pensioni, nessuno dovrebbe prendere la parola per contestarlo.
Detto questo, l’ascesa di personaggi che si qualificano come “scienziati” ha portato a un loro improprio e pericoloso ruolo politico. La loro competenza specialistica si è rivelata un rischio per le società attuali.
Questi personaggi sono portatori di un sapere specialistico che non coglie il sapere complessivo delle relazioni e dell’insieme, i nessi e i legami, in una parola non sono in grado di comprendere (e quindi nemmeno di gestire) la complessità. Non comprendono il contesto generale, ma solo il segmento della loro competenza e lo impongono come soluzione.

Un intellettuale che è stato troppo presto dimenticato, Pietro Barcellona, scriveva che gli specialisti sono analfabeti sociali: non sono in grado di cogliere le interconnessioni, facendo prevalere la loro competenza specifica su qualsiasi altra considerazione. E’ il caso di due diverse tipologie di specialisti in azione durante la pandemia C19: i virologi (o sedicenti tali, dato che molti usano questa denominazione senza essere virologi) e il militare diventato commissario straordinario per l’emergenza C19, il generale Francesco Paolo Figliuolo.
Entrambi, i virologi e il militare, discettano in base al loro specialismo di questioni che esulano dalla loro competenza, imponendo alla politica scelte basate su una visione parziale del problema da affrontare. Ad esempio, si esprimono sul Green Pass, una misura politica e non sanitaria, oppure sulle chiusure delle scuole, sull’accesso a musei e biblioteche, ecc. Né un virologo né un militare sono in grado, in base alla loro competenza, di affrontare la complessità di scelte che riguardano la vita sociale di un paese. Il virologo può fornire studi sulla capacità di contagio del coronavirus, il militare può organizzare il trasporto e la distribuzione di un vaccino. Non altro, le loro competenze finiscono qui.

Dalla scienza ci si devono attendere studi, ricerche, risultati di sperimentazioni. Dalla scienza la politica e le sedi democratiche devono ricevere dati e informazioni in base ai quali fare poi scelte che riguardano la vita sociale del paese, considerando le implicazioni complessive di quelle scelte. Viceversa sempre più spesso gli “scienziati” dettano misure eminentemente politiche, che riguardano la gestione della vita collettiva. Invece di limitarsi a fornire dati scientifici, propongono direttamente misure di governo. Eppure chi ha maturato grande esperienza e competenza in un laboratorio non possiede alcuna competenza (e alcun mandato) per indirizzare le scelte politiche. Chi conosce perfettamente la struttura di un virus non necessariamente conosce le dinamiche sociali, le esigenze territoriali, i diritti dei cittadini. Anzi, gli “scienziati” di specifiche discipline si atteggiano a padroni globali del sapere, diventando la versione iper-moderna degli sciamani, dei maghi o dei teologi delle società pre-moderne. Con un’aggravante: questi nuovi sciamani, forti di una cieca fiducia di massa, si vedono attribuito un diretto potere politico (oltre a una narcisistica esposizione mediatica) che difficilmente saranno disposti ad abbandonare.