LA SERIALITA’ AL TEMPO DEL COVID

Come le serie tv americane stanno veicolando la narrazione dominante sull’emergenza sanitaria

Negli ultimi mesi ci sono stati comportamenti contraddittori all’interno dei programmi tv italiani. Alcuni ostentavano assenza di mascherine, ma riportavano rigorosamente la dicitura “programma registrato prima del dpcm X”, come Linea Verde, altri in studio apparivano senza mascherina, ma quest’ultima compariva magicamente nel tragitto dalla postazione di lavoro a quella dei giudici, per poi sparire nuovamente, quando i concorrenti si affannavano tra abbattitore e forni, come in Bake off. Però sono reality, talent, talk show.

La paradossale scritta dei programmi Rai

Aspettavo con trepidazione la riapertura dei set delle serie tv americane che si erano concluse con accorati appelli degli attori protagonisti sul “stay home stay safe”. Alcune sono finite in anticipo, altre sono andate in onda sottotitolate. Durante l’estate i set sono tornati operativi, ma, ahimè, se uno cerca ristoro dai tg e dai talk che parlano solo di crisi economica e cedimento del sistema sanitario, non lo può trovare neppure nel fantastico mondo della narrazione per immagini. Era scontato che le serie medical drama attingessero a piene mani al covid, nonostante ci fosse stata almeno una puntata nel loro storico già dedicata ampiamente a una qualche pandemia. Il misterioso virus che colpisce senza cura o il veleno di ultima generazione sono ingredienti che hanno dato materiale per crime, legal e serie ospedaliere da decenni. Quindi nessuna sorpresa se The Good Doctor si apre con un doppio puntatone sul covid. Puntatone che definirlo angosciante è limitativo. Ambientato nelle prime settimane della pandemia, non ci risparmia medici e infermieri costretti a doppi turni, mancanza di una cura, carenza di attrezzature, isolamento dai propri cari, anziani a rischio che si recludono. Per fortuna dalla terza puntata “non ce n’è di coviddi”, per citare una nota influencer.

Lo stesso possiamo osservare in Grey’s Anatomy. In queste due serie, per altro, lo sconforto è tale che due amati protagonisti defunti (Dereck Sheperd-Patrick Dempsey in Grey’s Anatomy e Neil Melendez- Nicholas Gonzales in The Good Doctor) pensano bene di riapparire come visioni mistiche per dar sollievo alle loro amate. Come se di morti non ce ne fossero a sufficienza.

The Good Doctor

Il vero disappunto lo provoca la trilogia One Chicago. Cominciando da Chicago Fire. Almeno in un contesto di incendi domati, pensavo si potesse soprassedere sul virus malandrino, invece nella prima inquadratura Joe Cruz (interpretato da Joe Minoso), uno dei protagonisti, viene bloccato all’ingresso della caserma da un termo scanner, i pompieri si salutano col gomito, nonostante mangino e dormano a stretto contatto. In caserma sono senza mascherina, ma all’aperto la indossano.

Chicago Fire

Chicago Med è l’unione di scene precovid già previste in sceneggiatura e qualche sequenza stucchevolmente drammatica. Sembra di vedere quei film degli anni 80 assemblati con diverse pellicole. In alcune scene, tutti molto sereni operano e visitano senza precauzioni, poi ci sono stacchi nelle sale covid che paiono spezzoni di Contagion, la fiaccolata finale sul tetto con candele negli smartphone e l’elenco dei morti (era dai tempi dei film post 11 settembre che non si vedevano) nominati dal contrito personale ospedaliero.

Chicago PD invece rappresenta il lato distopico del franchise creato dal produttore Dick Wolf. Sono tre serie che corrono di pari passo, con frequenti cross over, quindi si presuppone la contemporaneità, ma mentre in Chicago Med e Chicago Fire i protagonisti girano mediamente bardati, in Chicago PD gli eroi machi e i loro criminali non sono scalfiti da covid e precauzioni, ma sullo sfondo passanti o comparse indossano la mascherina chirurgica. E’ uno scenario inquietante.

Grey’s Anatomy e Station 19 non si staccano dal copione, ma la sceneggiatrice Shonda Rhimes non può esimersi dall’infarcire il tutto di sesso e tradimenti, utilizzando agili flashback in mezzo alle disgrazie per fare da collante tra i fatti pre e post covid. Esemplare la battuta che chiude l’incontro rovente tra i due medici gay in Grey’s Anatomy: “Posso tenere la mascherina?” “Non è quello che voglio toglierti”.

Grey’s Anatomy

Anche Bull, serie legal che segue le avventure giuridiche di Jason Bull (Michael Weatherly) e il suo team di “consulenti di processo”, è ambientato a cavallo della pandemia e dopo un lungo prologo in cui vediamo tutti gli associati dello studio a casa che in una conference call ringraziano Bull per aver garantito loro uno stipendio a differenza di tanti, poi riprendono a frequentare il tribunale ma in modalità covid. Mascherine nere, molto fashion, che impediscono persino di riconoscere gli interpreti, taluni con guanti, e la giuria in collegamento audio, i querelanti dietro plexiglass. Se la postura e l’espressività dei giurati erano il trucco con cui Bull poteva manovrare l’esito di un processo, le cose si fanno ardue. E l’arrogante e supponente Bull ci regala pistolotti sulla vita, sul “nulla sarà come prima”, sulla sfiducia nel futuro. Tranne poi scoprire che è stato un sogno nei cinque giorni in cui Bull, con febbre da covid, era incosciente a letto. E i tribunali hanno riaperto, con qualche accortezza in più, garantendo un ritorno alla normalità e alla serialità.

Bull

Aspetto i nuovi episodi di New Amsterdam, ma soprattutto di The Resident che si era concluso con un profetico contagio da “Candida auris”, diffusa nell’ospedale a causa di un respiratore, mietendo vittime. Non credo che vorranno sommare epidemia a epidemia, ma sarà interessante vedere come bypassano il problema.

Di certo sembra che sia stata stilata una sorta di promemoria cui tutti si devono attenere per le serie tv dell’epoca covid. Ecco gli ingredienti:

– anziana (in genere di colore) che perde il marito intubato senza potergli dire addio, o al massimo lo fa in videochiamata;

– scene di stanchezza e sconforto del personale medico, seguite da scene di isteria di fronte alla assenza di apparecchiature, terapie e finanziamenti;

– ragazzi che violano il coprifuoco per una allegra rimpatriata con conseguenze inenarrabili (la figlia adolescente asintomatica dello psichiatra del Chicago Med ha contagiato papino, gli adolescenti di Grey’s Anatomy cross over Station 19 causano un incidente mortale);

– scene di struggenti videochiamate genitori-figli e fidanzati che si tengono a distanza di sicurezza;

– strazianti addii tra congiunti, che tuttavia non toccano i nostri eroi, anche perché le prossime puntate dovranno rientrare nel seminato e forse il covid si dissolverà come per magia.

Sembrano indicazioni scritte da un gruppo di sceneggiatori alla Boris, la nostra satirica serie tv. Invece è la realtà televisiva ai tempi del covid.