LAPO-GATES: ancora una critica al filantropo americano

“Chi attacca Bill Gates è un coglione. Si tratta di cattiveria e invidia. Io lo prendo ad esempio, l’ho conosciuto”.

Con queste parole a Radio Capital pochi giorni fa lo stimato e raffinato intellettuale Lapo Elkann ha voluto prendere le difese del miliardario americano (che non si sa quanto abbia apprezzato questo “endorsement”).

In omaggio a Lapo, e identificandoci volentieri con l’appellativo da lui destinato ai critici di Bill Gates, continuiamo quindi a occuparci del “filantropo” già cofondatore di Microsoft.

Lapo Elkann in mascherina per la sua raccolta fondi “filantropica”

“Il capitalismo – che, come è dimostrabile, è il migliore dei sistemi economici esistenti – nel decennio scorso ha fornito chiare prove della sua superiorità rispetto ai sistemi economici alternativi. L’autostrada elettronica renderà questa superiorità ancora più evidente.”

Questa frase appare nel libro La strada che porta a domani (Mondadori, 1995), scritto da Bill Gates più di 25 anni fa, quando era dedito soprattutto al mondo dei computer e non era ancora iniziata la sua campagna sul fronte sanitario.

La lode agiografica del capitalismo spiega tutta la mentalità che ispira il suo pensiero, e che lo ha indotto a concentrare nelle sue mani il massimo di potere sul mondo dell’informazione, per aggiudicarsi il dominio sulla mitica “autostrada elettronica”. In Italia il libro venne acriticamente accolto anche da tanti intellettuali “progressisti”, affascinati dal mondo fantastico promesso da Gates.

Certo, non sbagliava Bill Gates quando ci avvertiva che l’autostrada informatica (ma meglio sarebbe dire le alte tecnologie in generale) avrebbe trasformato la nostra cultura tanto drasticamente quanto l’invenzione della stampa di Gutenberg ha trasformato quella del Medio Evo. E se negli anni Sessanta (rammentava Gates, citando una battuta del film Il laureato) per far carriera nel mondo degli affari bisognava “buttarsi sulla plastica”, alle soglie del Terzo Millennio la nuova parola magica era diventata “informazione”.

Bill Gates viene presentato in genere come il genio che divenne miliardario grazie alle sue mirabili invenzioni. Ma anche scorrendo La strada che porta a domani scopriamo invece che il suo successo è dovuto alla gigantesca potenza della Ibm, senza la quale la Microsoft non sarebbe nemmeno nata: nel 1984 la Ibm stabilì il record per la maggior quantità di denaro mai guadagnata da una singola impresa in un solo anno (6,6 miliardi di dollari di profitti).

Dopo aver monopolizzato i sistemi operativi (cioè il particolare “linguaggio” che permette di lavorare con il computer), grazie a Windows e al suo codice sorgente tenuto rigorosamente segreto, Gates si era lanciato sul miracolo Internet, da lui definito “l’avvenimento più importante che si sia verificato nel mondo dell’informatica dopo la presentazione del Pc Ibm nel 1981”. Ma una rete Internet quasi gratis, che permettesse troppa libertà e affari troppo limitati, era scomoda. Già allora Gates si lanciava quindi in progetti megalomani, come oggi si propone di vaccinare ogni abitante del pianeta. Il vero business su cui si stava orientando era quello di una sola e nuova “autostrada informatica”, cioè una grande rete globale capace di interconnettere tutti i computer, con la corsa all’oro tra aziende e consorzi per realizzarla.

Quella mirabile rivoluzione informatica non si è realizzata secondo i suoi piani e a distanza di 25 anni molte aree del mondo, anche nei paesi più industrializzati, non hanno connessione veloce (o adeguata alfabetizzazione informatica): in Italia buona parte della popolazione non ha la banda larga. Né, fortunatamente, si è creata una monopolistica e unica “autostrada”. Nel libro, però, Gates immaginava una società, all’epoca da fantascienza, in cui tutti avrebbero avuto in tasca il “computer da portafoglio” (wallet pc): qualcosa di simile è effettivamente avvenuto con la diffusione globale dello smartphone.

L’intento del libro di Gates del 1995 era propagandistico-divulgativo e va letto tra le righe senza fidarsi degli ottimismi interessati dell’autore. Che Gates si diverta a mistificare la realtà è evidente, ad esempio quando tratta dello standard dei videoregistratori. Una volta, accanto al formato Vhs, esisteva anche il Betamax, ritenuto migliore per maneggevolezza e qualità della riproduzione. Ma la potente Jvc, che aveva puntato sul Vhs, fece piazza pulita della concorrenza, e sul mercato si affermò proprio lo standard Vhs.

Il Betamax sparì, nonostante fosse “migliore”: una dimostrazione che il famoso libero mercato premia i più furbi, non i migliori. Invece, Bill Gates applaudiva nel libro a questo meccanismo, che chiamava “di reazione positiva”. Infatti l’Ms-Dos, il sistema operativo promosso dalla Microsoft di Gates, si è affermato allo stesso modo del Vhs: facendo fuori tutti gli altri, con il trucco di non concedere alla Ibm l’esclusiva. Qualsiasi ditta produttrice di computer poteva così usare l’Ms-Dos, e aumentarne a dismisura le vendite. La concorrente Apple se la vide meno rosea perché nessun altro produttore poteva avere in licenza il suo sistema operativo.

Xanadu 2.0, il maniero di Bill Gates

Quando scriveva il libro, Gates si stava facendo costruire una mega-villa che doveva diventare un monumento alle meraviglie delle alte tecnologie. Le intenzioni dichiarate allora dal miliardario erano a metà strada tra Disneyland e un film distopico: tutti gli ospiti avrebbero dovuto portare appuntata una spilla elettronica che “dirà chi è e dove si trova alla casa”, prefigurando una magione inquietante “che segue le orme dei suoi occupanti per andare incontro alle loro esigenze personali”.

Il progetto si è realizzato e nel 2005 è stata inaugurata Xanadu 2.0 su una collina vicino al lago Washington: più di 6000 metri quadri calpestabili con estensione sotterranea, parco e bosco sul lago. Le premesse sono state concretizzate: si entra con chiave elettronica che fa cambiare, ad esempio, temperatura agli ambienti (i pavimenti sono riscaldati) al passaggio degli ospiti secondo i loro desideri. La villa, che ha un valore stimato di circa 150 milioni di dollari, comprende porticciolo privato, piscine con audio sott’acqua, cinema, teatro, palestra di 230 mq, campi da golf e da tennis, 24 bagni, 6 cucine, eccetera…

Quando Bill Gates invoca il lockdown generalizzato, ovunque e dovunque, contro il coronavirus in attesa del suo vaccino, ricordiamoci che vive in una reggia degna delle grandi aristocrazie pre-Rivoluzione francese: la stragrande maggioranza degli esseri umani ha sperimentato in questi ultimi mesi cosa vuol dire stare in quarantena in uno dei normali appartamenti della “gente comune” o in condizioni ancora meno vivibili.

Scrive il quotidiano della Confindustria, “Il Sole 24 Ore” (e non un bollettino di vecchi comunisti impenitenti), commentando un rapporto Oxfam: “A dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria i miliardari sono più ricchi che mai e la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. L’anno scorso soltanto 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. Nel 2017 queste fortune erano concentrate nelle mani di 46 individui e nel 2016 nelle tasche di 61 miliardari. Il trend è netto e sembra inarrestabile”.

Le diseguaglianze, dunque, stanno aumentando e una nuova aristocrazia di capitalisti finanziari sta accentrando una ricchezza senza precedenti in pochi individui. E Bill Gates è uno di loro.