FANTAPOLITICHE SULLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO

Sempre più spesso la realtà supera la fantasia, e le immaginazioni della fantapolitica si trovano sorpassate dai fatti che la cronaca ci propone. E’ il caso della liberazione di Silvia Romano. Chi avrebbe immaginato, tra i tanti che si sono spesi per la sua liberazione nei mesi passati, che la ragazza sarebbe tornata vestita con gli abiti dei fondamentalisti islamici, a capo coperto e rivendicando una nuova fede? E, mentre opposte tifoserie si sfidano sul web tra denigratori ed esaltatori di Silvia, gli aspetti inquietanti intorno alla sua liberazione non mancano. La fotografia che ritrae Silvia in giubbotto antiproiettile con il simbolo turco (che proverebbe come siano stati i turchi e non gli italiani a gestire la sua liberazione) è un fake orchestrato dai servizi segreti della Turchia, come insinua un comunicato della nostra intelligence?

Il simbolo turco sul giubbotto antiproiettile

In un contesto così surreale, l’ipotesi fantapolitica che avanzo qui è un’altra. La conversione di Silvia è vera o fa parte del riscatto da pagare ai terroristi? Possiamo ipotizzare che tra le condizioni poste per la liberazione di Silvia da parte dei rapitori di al Shabaab (astuti, abili nella gestione dei media e non certo sprovveduti) ci sia stato oltre il pagamento in denaro anche la esibizione di un ostaggio che ha abbracciato la fede islamica. Doppio incasso, quindi: soldi e visibilità ideologica. L’ostaggio, perciò, in cambio della liberazione è tenuto ad affermare non solo di essere stato trattato bene, ma deve ostentare persino nell’abbigliamento la nuova fede fondamentalista che ha abbracciato durante la prigionia. Il ruolo dei turchi nella liberazione di Silvia non può che rafforzare questa ipotesi, dato che il regime di Erdogan è impegnato nella diffusione dell’islamismo e l’immagine di un ostaggio che dichiara di aver “scelto liberamente” l’Islam fa il suo gioco. Silvia Romano ha dichiarato che, per i video girati durante la sua prigionia, il carceriere che parlava inglese “mi spiegava cosa dovevo dire”. Forse le è stato spiegato anche cosa avrebbe dovuto dire dopo il rilascio.

Damian Lewis è Brody in “Homeland”

Questa ipotesi fantapolitica non esclude il lavaggio del cervello subito dall’ostaggio. L’immaginario televisivo, del resto, ci aveva già proposto il tema dell’ostaggio convertito all’Islam. Si tratta di Homeland – Caccia alla spia (Homeland), serie tv della Showtime iniziata nel 2011. Il protagonista delle prime stagioni, il sergente Nicholas Brody, è stato tenuto prigioniero in Iraq dai guerriglieri islamici per otto anni e quando viene liberato si scopre che si è convertito all’Islam ed è condizionato da esponenti del terrorismo islamico. In quel caso, la vittima del sequestro di persona nasconde la sua fede islamica per apparire un eroe di guerra, nel caso reale di Silvia Romano la fede islamica è proclamata e rivendicata.

Tra tanti punti oscuri e possibili illazioni fantapolitiche, in Italia ci si limita a invettive contro la ragazza o viceversa a lacrimevoli celebrazioni. Resta un punto politico importante e irrisolto: si possono pagare i terroristi per riavere un ostaggio, in nome della vita umana “al di sopra di tutto”?
Ricordo che per anni in Italia, di fronte alla piaga dei sequestri di persona, si discusse di bloccare i beni delle famiglie dei rapiti, per non incentivare gli atti criminali con il pagamento di riscatti, tanto che nel 1991 si arrivò a una specifica legge “antisequestri” (legge 15 marzo 1991, n.82): si sbagliava allora, mettendo in secondo piano l’incolumità degli ostaggi, o si sbaglia ora finanziando di fatto organizzazioni criminali con denaro dello stato?