GUERRA SANITARIA E COVID19: perché ha vinto la Cina

Quella al coronavirus è stata paragonata in questi mesi a una guerra. Un linguaggio bellico è stato adottato da politici e mass media, con tanto di “eroi” che combattono in prima linea (medici e infermieri). Se guerra è, ci sono vinti e vincitori. L’unico vincitore, allo stato attuale, è la Cina. La repubblica popolare cinese ha imposto al mondo il suo modello di riposta all’emergenza covid19 e ha contenuto più di altri, nelle sue frontiere, gli effetti peggiori della pandemia. Proprio perché il primo allarme sul nuovo virus è partito dalla Cina, la reazione cinese delle prime settimane è stata presa a modello, acriticamente, da quasi tutti gli stati del mondo. Quella reazione può condensarsi in due battute: lockdown e mascherine.

La Cina poteva permettersi il lockdown bloccando anche alcune attività produttive perché era comunque in una fase di espansione economica eccezionale. Far rispettare quella misura era semplice, in una società da un lato autoritaria e dall’altro dove il potere politico gode di un’obbedienza di massa. Il lockdown cinese, inoltre, è stato severo a Wuhan, molto più flessibile in tutto il resto del paese. Irregimentare intere città alle misure di quarantena non confliggeva poi con abitudini consolidate. Anche l’uso delle mascherine, protezione più che altro psicologica per coinvolgere emotivamente la popolazione, non era una cosa straordinaria per i cinesi, abituati a indossarle periodicamente per questioni ambientali (vento polveroso e inquinamento) e per epidemie. La Cina è il massimo produttore mondiale di mascherine, tra l’altro, e salvo qualche giorno di difficoltà non sono mancate nei negozi cinesi. Si aggiunga che il sistema sanitario cinese era evidentemente in condizioni molto migliori rispetto a tante nazioni occidentali e ha tenuto all’impatto dei moltissimi ricoveri.

Soldati cinesi durante l’epidemia influenzale del 1968-69

La Cina è stata egemonica anche nell’ingigantire il pericolo del covid19, propagandando un ritratto apocalittico della malattia. Lo stato cinese aveva tutto l’interesse a non minimizzare, ma anzi a dilatare l’allarmismo sul nuovo virus. Sapeva che quelle misure contro il virus avrebbero messo in difficoltà soprattutto l’occidente. Si aggiunga che era un’occasione d’oro, per la leadeship cinese, per mettere a tacere per un lungo periodo il problema per loro al momento più scottante: Hong Kong. Grazie all’allarme virus si è sospesa per oltre quattro mesi l’attenzione su Hong Kong, lasciando tutto il tempo alla Cina per organizzare una risposta a quella crisi. La Cina, insomma, ha dimostrato una grande capacità egemonica e un’astuzia politica totalmente assenti dallo scenario geopolitico occidentale.

Pechino, 4 maggio 2020: squadra medica di ritorno dall’Hubei a una manifestazione giovanile

L’occidente, invece, ha dimostrato totale subalternità ai modelli e agli schemi propugnati dalla Cina per froteggiare l’emergenza sanitaria. In occidente la scelta del lockdown ha avuto effetti disastrosi dal punto di vista economico e sociale, di cui vedremo gli effetti tra qualche tempo. I sistemi sanitari europei e americani, devastati in alcuni casi dalla fine del “welfare state”, si sono rivelati impotenti: anzi, ospedali, cliniche e ospizi sono diventati i focolai principali dell’infezione. L’uso delle mascherine si è risolto in una farsa, con una pietosa immagine della Scienza, tra appelli a indossarla e dichiarazioni di illustri medici, virologi o epidemiologi che ne affermavano l’inutilità. In Italia, tuttora la pecora nera del coronavirus, sono rapidamente sparite e tuttora sono quasi introvabili (ma le persone si sono attrezzate in ogni modo, spinte dal terrore).

Col tempo forse si rifletterà se la misura antivirus più antica del mondo (il lockdown, la quarantena, il “chiudersi in casa” e dare la caccia ai presunti untori) abbia veramente giovato alla lotta contro il coronavirus, o se invece sia stata una misura inefficace e persino dannosa. Nel nostro 2020, comunque, la ricetta cinese è stata adottata da tutti, spesso in modo indiscriminato, azzoppando economie già indebolite (come quella italiana) e con ben pochi risultati di contenimento della malattia (in Italia, nonostante il lockdown, continuano a esserci una cinquantina di decessi al giorno attribuiti al covid19, in Cina con un miliardo e mezzo di abitanti sostanzialmente nessuno).

Xi Jinping

All’egemonia culturale dimostrata dalla Cina l’occidente ha saputo replicare solo con le fantascientifiche teorie del virus sfuggito dai laboratori cinesi e della “mancata trasparenza” (smentita per altro da innumerevoli scienziati non certo filocinesi). Intanto Europa e Usa subivano passivamente il modello cinese di risposta all’emergenza. La cultura e la politica europea, come quella americana, si sono dimostrate incapaci di proporre un diverso approccio alla tecnica e alla scienza. Non si trattava di demonizzare la Scienza (al contrario ormai divinizzata e con la S maiuscola), ma di sottoporre i suggerimenti del mondo scientifico (diviso e in competizione interna) a un indirizzo politico senza accettarne passivamente le indicazioni oscillanti, contraddittorie e inquinate da interessi economici potenti.

Ora servirebbe un profondo ripensamento critico, che ha anche risvolti politici importanti, e che riguarda il controllo sociale delle tecnologie, della Scienza e della gestione di emergenze sanitarie. Purtroppo l’occidente non pare comprendere i processi in atto e soprattutto non sa indicare vie di trasformazione. Tragica, poi, la latitanza della “sinistra” (in tutte le sue declinazioni, da quelle moderate a quelle antagoniste): totale assenza di sguardo alternativo su quanto accadeva e incapacità di cogliere i fondamenti sociali ed economici della realtà, compresi i fondamenti della risposta all’emergenza pandemica. La “sinistra” si è dimostrata subalterna alla raffigurazione dominante, incapace di cogliere quello che la crisi provocata dalla pandemia innesca nei rapporti umani e persino nella concezione della democrazia e delle libertà (che possono essere sospese ad libitum anche di fronte a un virus dalla bassa mortalità). Non c’è stato nessun “nuovo paradigma” in campo, nemmeno da parte di quelle che si chiamavano “culture verdi” (e dei relativi movimenti politici “verdi”) e che sono apparse altrettanto subalterne. Il coronavirus è una grande occasione per avviare una nuova interpretazione della scienza, della tecnica e della politica: occasione in gran parte, per ora, perduta.