IL VIRUS E LO SPETTRO DEI COMUNISTI

Vecchi ruderi reazionari e raffinati intellettuali dissenzienti hanno trovato lo spettro di sempre per semplificare i problemi: i comunisti. Negli sfoghi sui social si moltiplicano i commenti che definiscono le misure liberticide del governo come “comuniste” e a loro si aggiunge adesso anche Giorgio Agamben, uno dei pochi pensatori fuori dal coro in questi mesi di pandemia: lo fa con un breve corsivo su “Quodlibet” intitolato perentoriamente Capitalismo comunista, dove spiega che “il nuovo regime unirà in sé l’aspetto più disumano del capitalismo con quello più atroce del comunismo statalista, coniugando l’estrema alienazione dei rapporti fra gli uomini con un controllo sociale senza precedenti”. In poche righe Agamben liquida una lunghissima riflessione politica e storica sulla natura degli stati sorti dalla Rivoluzione d’Ottobre, decidendo senza se e senza ma che “i regimi istaurati nei paesi sedicenti comunisti” erano una particolare forma di capitalismo, “specialmente adatta ai paesi economicamente arretrati e rubricata per questo come capitalismo di Stato”, sentenziando che ciò “era perfettamente noto a chi sa leggere la storia” (quindi chi non è d’accordo non sa leggere la storia, tipica accusa superficiale che Agamben ha vissuto sulla sua pelle quando gli si rimproverava che come filosofo doveva lasciar parlare gli Scienziati sul coronavirus).

Il breve corsivo di Agamben su “Quodlibet”

Aspettavamo al varco anche Agamben, attendevamo uno scivolone politico da un momento all’altro, perché ormai siamo in uno scenario culturale frammentato che non consente alcuna omogeneità a chi dissente e ai “ribelli”: non trovi più nessuno con cui essere d’accordo a 360 gradi (come avveniva invece fino agli anni Settanta del secolo scorso, quando ancora c’erano le vituperate “ideologie”), sei destinato ad avere compagni di strada solo a tratti, senza possibilità di costruire un movimento unitario o con minimi comuni denominatori sufficienti. Occorre uno sforzo sovrumano per trovare percorsi insieme ad altri: su singole lotte potranno essere tuoi compagni, ma con certezza riveleranno presto posizioni diametralmente opposte alle tue su qualche aspetto non secondario.

Premesso che chi scrive continuerà sempre ad autodefinirsi comunista, perché appartengo alla genìa di chi considerava quella comunista “una scelta di vita” (mentre non mi autodefinisco più “di sinistra”), trovo molto semplificato e ingannevole il breve testo di Agamben. E’ come se qualcuno aspettasse una definitiva “resa dei conti” verso una proposta politica che ha sempre creato delusi e odiatori: affossiamoli, questi fastidiosi comunisti, accusandoli di essere gli artefici del disastro democratico, sociale ed economico attuale.

Gli anticomunisti usano la loro ossessione di sempre per etichettare la dittatura che si trovano in casa, quella con pretesto sanitario che sta condizionando anche le loro vite. Invece di capirne la novità, imparagonabile sia con il liberalismo che con il comunismo, si accontentano di gridare “al lupo!” (“Al comunista!”). Oggi, poi, lo possono fare perché i “comunisti” sono dispersi, devastati da decenni di diaspora e persecuzione culturale, incapaci a loro volta di capire il Great Reset e in grado solo di rispondere pavlovianamente all’emergenza virus in nome della Salute e della Scienza, ridotte a feticcio.

L’apertura del post di Riccardo Paccosi su Facebook

Confondere la parola “capitalismo” e la parola “comunismo” è un ennesimo passaggio orwelliano, dopo l’equiparazione in chiave di “revisionismo storico” dei due grandi avversari della Seconda guerra mondiale, il nazifascismo e il comunismo. Le cose stanno esattamente al contrario. Come ha scritto correttamente Riccardo Paccosi sulla sua pagina Facebook, “tanto nella sua variante bolscevica quanto in quella europea e democratica, l’obiettivo del movimento comunista constava dell’acquisizione del potere politico (assoluto nel primo caso, relativo nel secondo) da parte della classe lavoratrice. Oggi, al contrario, al centro dell’agenda politica vige la dissoluzione d’ogni residuale forma di potere politico dei lavoratori”.

Sta avvenendo in realtà un paradosso: ciò che veniva rimproverato ai comunisti dai liberali e dagli anticomunisti oggi è praticato da liberali e anticomunisti con ancor più determinazione. L’invasione della vita individuale, l’uso della repressione poliziesca per contenere il dissenso e far rispettare norme anche se assurde (le autocertificazioni, le mascherine all’aperto, ecc.), la censura (compresa la variante del politically correct imposto con la forza), le limitazioni agli spostamenti delle persone, l’imposizione di stili di vita e comportamenti, e così via. Tutto in nome del Bene (la Salute, diventata improvvisamente una priorità dopo essere stata calpestata per decenni).

Quello a cui stiamo assistendo in occidente (uso questo termine, improprio per un mondo globalizzato, solo per indicare in particolare Europa e America, realtà sommariamente omogenee dove noi viviamo) è una nuova fase della rivoluzione industriale, accelerata sotto il segno della pandemia per marginalizzare una vecchia imprenditoria e creare il dominio di un nuovo capitalismo digitale e autoritario. L’occasione della pandemia è stata colta al volo dai vertici del neocapitalismo, mentre il pensiero critico di provenienza marxista è rimasto spiazzato. Si è fatto ingannare dal richiamo alla Scienza e dalla illusione che gli stati attuino politiche antivirus liberticide per il bene delle popolazioni e in odio ai “cattivi” per definizione (i padroni delle fabbriche, Trump, Bolsonaro, ecc.).

Mi sono occupato anni fa dell’idolatria per la scienza e la tecnica da parte del marxismo e del comunismo, nel saggio Critica comunista e tecnicizzazione del mondo (“Democrazia e diritto”, n. 1, 1993) e nel libro Se tornasse il comunismo (Il Minotauro, 1995), scrivendo che “il capitalismo e il comunismo sono diventati nel corso del Novecento sistemi onnicomprensivi e antitetici, ma accomunati dall’appartenenza a un paradigma scientista e industrialista comune”. E segnalavo come questa appartenenza comune sia stata una debolezza, non una forza, del marxismo e del comunismo, una forma di subalternità. Oggi quella subalternità si rivela in tutti i suoi rischi, facendo degli ultimi marxisti gli ingenui strumenti (come fanalino di coda) per il Great Reset, con la loro rinuncia al conflitto in nome della Scienza che salva dal virus e della Salute come dovere di fronte al quale rinunciare a ogni libertà.

Parata cinese

A tutto ciò si aggiunge il disorientamento dell’occidente che vede emergere la Cina come nuova potenza principale del mondo, oggi già più influente e ricca (senza guerre e bombe) degli angloamericani. Come ho spiegato altrove su questo blog, la Cina ha usato abilmente la pandemia, accentuando da subito l’allarmismo sanitario, per dettare le regole al resto del mondo, ben sapendo che l’emergenza virus lo avrebbe messo in ginocchio: privo di assistenza sanitaria efficiente a causa della distruzione del welfare, impossibilitato a irregimentare completamente le masse, diviso al suo interno (l’Unione europea ha dimostrato di non esistere, ogni Stato ha fatto a modo suo), inetto nel difendere la propria economia in una situazione straordinaria e incapace di creare aiuti adeguati alle vittime economiche dell’emergenza sanitaria.

Jeff Bezos,Mark Zuckerberg e Bill Gates,

Diventa quindi dirimente una riflessione sulla Cina attuale, vista da Agamben come naturale alleato dei capitalisti. La Cina in realtà non può piacere ai capitalisti e ai liberisti, perché comunque rappresenta un modello in cui il mercato è controllato e guidato dalla politica, proprio ciò che i liberisti hanno sempre visto come orrore puro. E’ certo che la Cina si muove in sintonia con il neo capitalismo “digitale” dei vari Bill Gates, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg, cavalcando al massimo le nuove tecnologie, ma è una sintonia che potrebbe entrare in contraddizione (ad esempio se in occidente esistesse qualche movimento non ultraminoritario capace di rivendicare un ruolo forte della politica sul mercato), dato che anche i capitalisti digitali vogliono solo privatizzazioni e poche tasse dallo Stato, non certo controllo o direzione dell’economia. In Cina è la politica che decide quale strada deve prendere l’impresa privata. Questo “elemento di comunismo”, ereditato dalla tradizione marxista e da Mao, potrebbe diventare la contraddizione insuperabile nel momentaneo accordo tra neocapitalismo e la Cina di Xi Jinping. Altro che capitalismo comunista.